i ritraggo dal baratro
E mi aggrappo al gancio labile della logica.
Come se avvenisse solo ciò
Che ho contemplato,
che mi sono raffigurata.
Lì sta la paura, in quel luogo che non so.
La vita impone destini inimmaginabili.
In quel luogo sono un tutt’uno con gli altri,
nell’ignoto del tempo che viene,
in quello stesso destino.
Essere pronti ad accettare
Ciò che sta per avvenire.
È possibile.
Con lo sguardo lucido della consapevolezza
Di poter trasformare tutto in bene
evo aggiustar la mente
Cercando le parole che fanno bene,
Che aprono finestre
E guardano il futuro.
Vedere la luce nei giorni che verranno.
In un istante ritornano le nuvole
A ricordare l’oscuro che persiste.
Sempre pronto a carpire la luce.
Nel buio mi dimeno
Combatto i mostri miei.
Agito la lama nell’aria,
La nebbia permane
Come un demone che
di fronte a me sghignazza.
Ma l’arma non può colpire il nemico
Impalpabile di dentro.
Impotente accetto l’impotenza,
lì sono ciò che sono,
e in quella pace
ritrovo la pace mia.
Guardo i pensieri dannosi.
Ci parlo con le parole del dialogo.
Non sono eccellente,
essere umano qualunque.
Ma anche io dotata di parole di pace
accontare la vita come sequenza di eventi “in un curriculum vitae organizzato sulla base della cronologia: prima ho fatto Questo, poi Quest’altro.” (Hillman)*. Ma questo forse non è ciò che siamo “chiamati” a essere… Un’immagine: in una sequenza del film Nirvana (Salvatores, 1997) Abatantuono impersonifica il protagonista di un video gioco, che, grazie all’azione di un virus informatico, acquisisce coscienza e tutt’a un tratto si rende conto di essere manovrato dalle regole di un gioco che qualcun altro ha creato. Il personaggio, da passivo, attraverso il risveglio della sua consapevolezza, cerca di diventare attivo e cambiare lo schema del gioco di cui fa parte. Ecco, questo succede in qualche modo anche nella nostra esistenza. Essere richiamati da qualcosa che succede (interiormente o esteriormente), a diventare attivi. Allora “va recuperato il senso della propria vocazione, ovvero che c’è una ragione per cui si è vivi. […] …la sensazione che esiste un motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo, e che esistono cose alle quali mi devo dedicare al di là del quotidiano e che al quotidiano conferiscono la sua ragion d’essere; la sensazione che il mondo, in qualche modo, vuole che io esista […].” (Hillman)* L’anima nel discendere alla vita sceglie un destino da compiere, sceglie una vocazione, un destino, un carattere che non vanno ignorati o subiti ma attivamente ricercati…
*) Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi Edizioni spa, Milano, 1997
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