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PSICOTERAPIA

La psicoterapia, etimologicamente cura dell’anima, è un processo che avviene tra due persone attraverso le parole. Dalle parole, infatti, si può risalire al simbolo e all’immagine da cui il segno nacque.
È come se, attraverso lo scambio verbale tra terapeuta e paziente, fosse possibile attuare uno scavo per raggiungere la parte inconscia della parola, la parte inconsapevole di chi l’ha invocata. Dunque la psicoterapia è un dialogo terapeutico che mira a trasformare i sintomi che fanno soffrire e a ricostruire la personalità attraverso l’emersione di contenuti, prima sconosciuti, che possono contribuire ad una nuova costruzione interna di maggiore forza ed equilibrio. Il principio su cui fonda questo approccio (che possiamo chiamare junghiano archetipico) è l’assunto che la vita sia trasformazione, come ben sapevano gli alchimisti che cercavano di scoprire come la Natura riuscisse a trasformare la pietra in oro.
Metaforicamente questo, da un punto di vista psicologico, rappresenta il lavoro che si svolge nel setting (area spazio temporale dove si svolge la seduta), dove la pietra degli aspetti bloccati della vita del paziente viene lavorata per sciogliere ciò che immobilizza, che resiste al cambiamento, alla ricerca dell’oro della consapevolezza di sé (o del Sé).
Nel luogo delle sedute psicoterapeutiche il paziente viene stimolato a dare voce alle immagini che lo abitano, siano esse appartenenti al vissuto, all’immaginazione o scaturite dai sogni. Le immagini vengono così “messe al centro” ed osservate in ogni dettaglio, fino a diventare rivelatrici di profondi significati inconsci.
Questo processo di individuazione è di per sé un processo senza fine (che prosegue oltre la conclusione della terapia), un processo di continua ricerca di emersione di contenuti da integrare nella nostra coscienza. Un processo che fa sentire bene chi ne è protagonista.

INTERVISTA A VALENTINA MICHELI

APPUNTI

APPUNTI

Paura e coraggio

M

i ritraggo dal baratro
E mi aggrappo al gancio labile della logica.
Come se avvenisse solo ciò
Che ho contemplato,
che mi sono raffigurata.
Lì sta la paura, in quel luogo che non so.
La vita impone destini inimmaginabili.
In quel luogo sono un tutt’uno con gli altri,
nell’ignoto del tempo che viene,
in quello stesso destino.
Essere pronti ad accettare
Ciò che sta per avvenire.
È possibile.
Con lo sguardo lucido della consapevolezza
Di poter trasformare tutto in bene

La pace di dentro

D

evo aggiustar la mente
Cercando le parole che fanno bene,
Che aprono finestre
E guardano il futuro.
Vedere la luce nei giorni che verranno.
In un istante ritornano le nuvole
A ricordare l’oscuro che persiste.
Sempre pronto a carpire la luce.
Nel buio mi dimeno
Combatto i mostri miei.
Agito la lama nell’aria,
La nebbia permane
Come un demone che
di fronte a me sghignazza.
Ma l’arma non può colpire il nemico
Impalpabile di dentro.
Impotente accetto l’impotenza,
lì sono ciò che sono,
e in quella pace
ritrovo la pace mia.
Guardo i pensieri dannosi.
Ci parlo con le parole del dialogo.
Non sono eccellente,
essere umano qualunque.
Ma anche io dotata di parole di pace

Il Racconto della vita

R

accontare la vita come sequenza di eventi “in un curriculum vitae organizzato sulla base della cronologia: prima ho fatto Questo, poi Quest’altro.” (Hillman)*. Ma questo forse non è ciò che siamo “chiamati” a essere…  Un’immagine: in una sequenza del film Nirvana (Salvatores, 1997) Abatantuono impersonifica il protagonista di un video gioco, che, grazie all’azione di un virus informatico, acquisisce coscienza e tutt’a un tratto si rende conto di essere manovrato dalle regole di un gioco che qualcun altro ha creato. Il personaggio, da passivo, attraverso il risveglio della sua consapevolezza, cerca di diventare attivo e cambiare lo schema del gioco di cui fa parte. Ecco, questo succede in qualche modo anche nella nostra esistenza. Essere richiamati da qualcosa che succede (interiormente o esteriormente), a diventare attivi. Allora “va recuperato il senso della propria vocazione, ovvero che c’è una ragione per cui si è vivi. […] …la sensazione che esiste un motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo, e che esistono cose alle quali mi devo dedicare al di là del quotidiano e che al quotidiano conferiscono la sua ragion d’essere; la sensazione che il mondo, in qualche modo, vuole che io esista […].” (Hillman)* L’anima nel discendere alla vita sceglie un destino da compiere, sceglie una vocazione, un destino, un carattere che non vanno ignorati o subiti ma attivamente ricercati…

*) Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi Edizioni spa, Milano, 1997






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